PoliticaZona Ovest

Magliette rosse. Perché non resti un selfie

di Rosanna Caraci

Maglietta si maglietta no. E’ la stucchevole polemica che ha alimentato una parte delle cronache di questo fine settimana, rubacchiando qua e là spizzichi di palinsesto mediatico tra l’assemblea del partito democratico, le farneticazioni della Meloni contro i radical chic, i quarti di mondiale con sorprese e Salvini che sembra divertirsi tanto a prendere a sberle chi vuole sottolineargli che è cattivo, scorretto, arrogante e che è magari anche un po’ razzista. Lui la maglietta rossa la rifiuta, non la indossa, lui di rosso vede solo il vino e chissà anche i conti della cassa del suo partito, al verde che più verde dei prati di Pontida non si può. Conti in rosso, casse al verde e magliette blu. Con una toccata alle corna del vichingo padano chissà tutto ciò svanirà.

Maglietta sì maglietta no. Per fermare l’emorragia di umanità. Emorragia dalle vene di chi? Del Governo di centro destra? L’Italia è un grande Paese che di umanità abbonda, ma è un paese stanco che ha trovato, dopo decenni passati ad aspettare un padre forte e nobile che la guidasse nella palude delle crisi economiche e delle paure per il futuro, le promesse più o meno allettanti di riscatto di chi, tutto sommato un po’ somiglia al piccolo dittatore de noantri che tanto piace alla pancia italica. In fondo, il leader leghista è quello al quale chiederesti di difenderti fuori da una discoteca, se vieni importunata: collo taurino, sorriso pieno e sguardo severo. “Si fa come dico io”. Così tanto che il suo sport preferito sembra lo scavallamento dei ministeri, da quello dell’interno a quello degli esteri passando per quello della difesa se mai non ci fosse, nel frattempo, necessità di dissertare scientificamente sul senso dei vaccini per i nostri figli. Magliette rosse, per carità no, anche perché meglio il nero che un po’ sfila e ti fa vedere il severo ministro come ti chiude il porto anche alla nave militare pronta a “scaricare” nuovi migranti.

Rosso è il colore degli indumenti che le mamme dei bambini che attraversano il mare fanno indossare ai piccini perché possano essere riconosciuti con più facilità, rosso è il colore delle camicie di Garibaldi che liberarono l’Italia, rosso è un terzo della bandiera italiana, ci dicono che rosso sia il sangue ma non di quel rosso che ci immaginiamo…e nemmeno il cuore, è rosso. Rosso è il colore di quella politica “d’opposizione” al nero che avanza, che avrebbe dovuto indossarla platealmente, con un grido di piazza di centinaia di migliaia di persone. Sinistra! O centro sinistra se non soffri di labirintite e gli spostamenti male non ti fanno…Te la ricordi piazza San Giovanni? Quella di Roma, dove ci si trovava a urlare dissenso, unione, politiche e opposizione. Quello andato in onda in questo sabato di “solidarietà” è stato un puzzle della buona volontà e della voglia di esserci dell’Italia che già sappiamo esistere. La nostra. Ma dov’è stata la politica? Non la politica dei selfie ma quella dell’azione, quella che ha il petto fiero da esporre a Salvini per dire “il ministro della paura con noi non attacca, fuori dal Governo” e ti cacceremo, noi del centrosinistra, con una sana opposizione. No. Non è andato in onda questo film. E quelli che hanno fatto foto, flash mob e scritto pensierini commoventi  si sono presi pure dell’ “ipocrita”. Donne, uomini, ragazzi, anche bambini che di ipocrita nulla hanno nel loro gesto. Forse Don Ciotti voleva di più: voleva che la politica ragionevole, e quindi la nostra, perché noi “siamo ragionevoli”, scendesse in campo a dire noi Mediterraneo, ti difendiamo. Difendiamo Abu, Ahmed, Amina e le tante storie che fuggono da una realtà che altro non è che l’anticamera della morte perché una vita merita di essere vissuta, in dignità e in pace. Perché siamo cristiani. Questo doveva fare la politica. Ma di qua un leader strilla con accenti da ultrà “ ve la faremo vedere noi al congresso” e di là un altro tuona che anche le navi militari non potranno aiutare chi in mare rischia di crepare. In comune hanno lo stesso nome. Entrambi non hanno indossato la maglia rossa. Ma è un dettaglio. Come per le foto con le donne con il bourka, o quelle con la manina davanti alla bocca per protestare contro gli attacchi al sarin in Siria, anche le magliette rosse seppur animate da buona intenzione rischiano di essere semplicemente un selfie. Perché il bourka continua a negare la vita di migliaia di donne mentre qui finito il carnevale mediatico possiamo tornare alla nostra, perché grazie a dio noi il sarin nemmeno sappiamo cosa sia, e perché come abbiamo fatto indossare la maglietta rossa a nostro figlio per il flash mob per poi togliergliela e mandarlo a giocare un’altra madre avrà fatto lo stesso, nello stesso momento, per un bambino che non sa se toccherà mai terra. Allora avremo un’altra maglia rossa a galleggiare, marcia del mare del Mediterraneo, della nostra vergogna e della nostra incapacità politica ad arginare un fenomeno che in fondo altro non è che il selfie più drammatico della nostra ignoranza.

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Un pensiero su “Magliette rosse. Perché non resti un selfie

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