Cultura

L’arma nucleare e l’Italia 75 anni dopo Hiroshima


di Carlo Cumino

Sono passati 75 da quando il 6 agosto 1945 il bombardiere Enola Gay sganciò Little Boy, la prima bomba atomica, sulla città di Hiroshima, che (assieme alla Fat Man che fu lanciata su Nagasaki tre giorni dopo, il 9 agosto) causò una delle peggiori catastrofi della storia umana, vaporizzando ben 200.000 persone e condannando i sopravvissuti e i loro discendenti a vivere con segni di tali terribili esplosioni.

Anche se oggi  la minaccia atomica è sentita lontana grazie alla riduzione del numero delle testate avvenuto negli scorsi decenni (al momento a poco più di 14.000 ordigni) grazie ai vari accordi di riduzione delle armi nucleari, e al trattato ONU di Proibizione (approvato il 6 luglio 2017 grazie agli sforzi della rete internazionale ICAN) sono ancora molti i paesi che continuano lo sviluppo degli ordigni nucleari (in primis gli USA, che sotto la guida di Trump non hanno rinnovato i trattati di non proliferazione) con gravi conseguenze per i loro alleati, specialmente per coloro che (in virtù di specifici accordi internazionali di cooperazione militare) ospitano tali ordigni sul loro terreno, come il nostro paese che (pur non possedendo un programma di armamenti) ospita all’interno delle basi militari italiane ben 70 testate nucleari. Un obbligo che, nel caso dello scoppio di una guerra, ci renderebbe dei bersagli primari!

La sicurezza è un argomento complesso che comprende diversi ambiti ed in cui viene data la priorità a ciò che è sentito più vicino ed immediato. Ma per quanto distante il pericolo delle armi atomiche possa essere percepito, ospitarne all’interno del proprio paese equivale a camminare per la strada con un bersaglio dipinto sulla schiena, sperando che gli altri non lo notino.  Ma – come insegna la legge dei grandi numeri – più un evento si ripete, più aumentano le probabilità che (grazie al mutare dei fattori esterni) uno specifico esito si verifichi!

Proprio per ridurre questo rischio è importante parlare ed essere consapevoli della presenza di armi nucleari sul nostro territorio. Ed è anche importante discuterne per interrogarci se sia non tanto legittimo (in quanto è previsto da un trattato) quanto eticamente accettabile se il paese che ha dato i natali ad uno dei leader del progetto Manhattan paese ospiti tali ordigni, o se sia meglio per l’Italia unire la sua firma a quelle dei paesi che già hanno sottoscritto (se non già ratificato) il Trattato di Proibizione.

Un atto che non ci liberebbe subito delle bomba, ma che forse riaffermerebbe il nostro principio costituzionale di ripudio della guerra come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e che forse, agli occhi della Comunità Internazionale, ci porrebbe più vicino ad essere un paese non solo affidabile, ma civile e grande (come tanto desideriamo).

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