Italia zona rossa

Tamponi e ritardi:cosa non è cambiato da marzo ad oggi

di Chiara Barison

Il tempo passa, ma il modo di affrontare l’emergenza sanitaria non cambia: tra pazienti da tamponare mai chiamati e attese infinite per i risultati, i cittadini si sentono abbandonati dall’ASL torinese.

Abbiamo deciso di raccontare le difficoltà della sanità territoriale attraverso due storie di chi il virus l’ha vissuto sulla propria pelle.

Il primo colpito dal Covid19 è Franco Fornatto, 72 anni e un passato da maratoneta. Il suo incontro con la malattia è avvenuto a marzo, in una situazione di caos e paura generalizzati. Febbre a 40° che non si decideva a scendere, brividi, dolori in tutto il corpo e la paura di non farcela. «A gennaio avevo subìto un intervento a causa di un infarto – racconta Franco – mi sono recato all’ospedale Martini in cui mi è stata somministrata l’idrossiclorochina e la febbre è scesa quasi subito. Fortunatamente son stato solo un giorno in terapia intensiva e non mi hanno mai intubato».

Franco, una volta stabilizzato, è stato trasferito all’ospedale oftalmico di via Juvarra in cui ha passato dieci giorni senza poter vedere nessuno come da protocollo. «Per me il covid19 è stato devastante da un punto di vista psicologico, ero un condannato alla solitudine» ricorda.

Al momento delle dimissioni, ancora positivo, ha chiesto di essere trasferito al Blu Hotel di Collegno per evitare di mettere in pericolo la moglie e il figlio che lo aspettavano a casa.

Nella nuova quotidianità, fatta di misurazione della febbre e somministrazione di medicine, Franco ha avuto un altro infarto. Trasferito all’ospedale di Rivoli, è stato sottoposto ad un nuovo intervento. Dopo 47 giorni di degenza è stato riportato all’Hotel Blu e, a quel punto, la voglia di tornare a casa per riabbracciare i propri cari si faceva più insistente. Nonostante il tampone per verificare la negatività di Franco fosse stato fatto da dieci giorni, il risultato tardava ad arrivare. L’approvazione delle dimissioni è arrivata solo dopo diverse insistenze e una minaccia di denuncia per sequestro di persona: “Capivo bene la difficoltà della situazione, però la gestione dell’emergenza era completamente sfuggita di mano – afferma con forza Franco – era giusto che tornassi a casa”.

Adesso sto bene – conclude Franco al termine della nostra chiacchierata – ma è rimasta una fobia per la febbre, arrivo a misurarmela fino a quattro volte al giorno terrorizzato che salga oltre i 36°”.

Per comprendere che poco è cambiato in questi mesi abbiamo ascoltato la storia di Giuseppe Bove.

Giuseppe è un padre di famiglia che da sempre trova il tempo per dedicarsi agli altri. Quando iniziamo a parlare, uno dei suoi primi pensieri è rivolto alla madre anziana, rimasta senza il suo fondamentale aiuto.

Tutto è cominciato circa tre settimane fa – ci racconta – mia moglie è un operatore sanitario dell’ospedale Valdese ed è stata contagiata sul luogo di lavoro da una collega”.

Il virus ha poi colpito lui, la loro figlia di diciotto anni e un altro figlio di ventotto che, sebbene non viva più con loro, era a casa con il resto della famiglia.

Mia moglie è stata contattata più volte dal suo medico del lavoro mentre noi tre, dopo aver contattato il nostro medico di base, siamo stati iscritti sulla piattaforma ma nessuno è venuto a farci il tampone nonostante noi non potessimo uscire di casa”. Dopo giorni di attesa interminabile la famiglia Bove ha deciso di recarsi all’ospedale Mauriziano per effettuare il tampone, costretti dalle circostanze ad infrangere la quarantena fiduciaria.“Siamo stati lasciati tutti in balìa di noi stessi, non ci ha mai contattato nessuno” dice amareggiato Giuseppe. Veniamo da mesi in cui gli operatori sanitari sono stati descritti come eroi dalla società civile e dalla politica ma Giuseppe si chiede candidamente “Visto che mia moglie è stata contagiata sul lavoro, non dovremmo essere tutelati anche noi come nucleo familiare?”. Il tracciamento dei contatti viene meno con tutte le conseguenze del caso: la pandemia circola assolutamente fuori controllo portando con sé un incubo già vissuto.

Se ritieni utile far conoscere la tua esperienza con il Covid, scrivici in privato sulla pagina Facebook de La Voce della Dora, oppure inviaci una mail a lavocedelladora@gmail.com.

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Un pensiero su “Tamponi e ritardi:cosa non è cambiato da marzo ad oggi

  • Ernesta

    Cambiato si, in peggio. Ieri per un tampone , abbiamo percorso 300km (rigorosamente in Piemonte) passando per 4 provincie

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