Rubrica di psicologia

Scrivere è una forma di pane!

di Chiara Lovera

Scrivere è un’attività che spesso svolgiamo per lavoro o per studio, non è detto che la scrittura sia qualcosa di piacevole per noi.

Può,  appunto, essere legato ad una dimensione di dovere e di giudizio adombrata dai ricordi di scuola.

La scrittura quindi può essere vissuta come un’imposizione o come qualcosa che facciamo un po’ come quando dobbiamo assumere una medicina dal gusto sgradevole, tappandoci il naso e mandandola giù il più velocemente possibile.

In questo articolo cercherò di descrivere una dimensione diversa della scrittura perché scrivere può essere un canale per entrare in contatto profondo con noi stessi, può essere immaginato come uno spazio libero che può soccorrerci nella vita quotidiana e nei momenti difficili: per esempio quando ci sentiamo tristi, confusi o semplicemente sovraccaricati.

La scrittura è una forma di pane?

Sì,  per me è così.  Molti anni fa scrivevo al mattino molto presto o alla sera molto tardi in un appartamento vicino ad un forno: ricordo  che scrivevo lasciando la finestra socchiusa e da lì si diffondeva il profumo del forno lì vicino. Il profumo del pane invadeva tutta la stanza mentre io continuavo a scrivere.

Il pane, poi, è un elemento semplice che nell’immaginario collettivo rappresenta nutrimento, risposta ad un bisogno primario – la fame –  e strettamente legato alla sopravvivenza. 

La scrittura può essere una risposta al bisogno emotivo di nutrire la mente e i pensieri che l’attraversano.

Anche scrivere è semplice: bastano un foglio e una penna e se riusciamo a mettere a tacere il Giudice Interno che ci ripete che ciò che scriviamo non vale o che scrivere non serve a niente, potremo godere di questa attività e sorprenderci nell’osservare gli effetti sulle nostre sensazioni, sulle nostre emozioni e sui nostri pensieri mentre scriviamo e, in seguito,  quando riporremo i nostri fogli o spegneremo lo schermo del computer.

Che cosa scriviamo?

Molti di noi pensano che scrivere sia ciò che fanno gli scrittori cioè quelle persone che per scelta professionale pubblicano testi di narrativa,  di poesia o di saggistica.

È vero, gli scrittori scrivono ma non è detto che tutti coloro che praticano uno sport debbano diventare campioni olimpici o atleti professionisti.

Quello che voglio dire è che possiamo decidere di scrivere (qualsiasi cosa) semplicemente perché ci diverte o ci fa sentire bene.

Un banale elenco di cose da fare durante la giornata può rivelarsi una buona abitudine soprattutto quando ci sentiamo sovraccarichi di impegni e di compiti da portare a termine.

Accanto al primo caffè del mattino il nostro elenco.

Mettere nero su bianco la lista delle cose da fare ci permette di visualizzarle da un’altra parte oltre che nella nostra mente. Ci permette di prenderne le distanze perché non sono più solo dentro i nostri pensieri ma anche laggiù,  là fuori, sulla carta. E così potremo mettere ordine e selezionare cosa è davvero importante e cosa può aspettare.

Freud scriveva che i sogni sono la via regia per l’inconscio. I sogni sono cioè una chiave per accedere al nostro mondo interno dove abitano le nostre paure più profonde, i nostri desideri più autentici e inascoltati, i sogni allora, guardati da questa angolazione sono così importanti ma è ancora molto vivo, invece, il luogo comune per cui i sogni sono una sorta di frattaglia della nostra mente, uno scarto da non considerare.

 Quando, per esempio, si sta intraprendendo un percorso psicologico può essere utile scriverli per ricordarli e condividerli in seduta proprio perché possono rivelare qualcosa di necessario per entrare maggiormente e più autenticamente in contatto con se stessi.

Appuntare i sogni può essere un esercizio utile non solo per ricordarli ma anche per lasciarli decantare ed aspettare le suggestioni e le associazioni che potranno nascere in futuro. 

Il sognatore è il primo interprete del proprio sogno.

 Dare ascolto ai sogni è un altro modo per osservarsi e sviluppare una consapevolezza profonda e viva verso se stessi.

Tutto ciò che ci riguarda ci somiglia

Qualcuno di noi potrebbe cimentarsi nella scrittura di una storia di fantasia, qualcun’ altro, di un diario.

Chi dei due sta parlando di sé ? Entrambi.

Può sembrare paradossale ma anche quando inventiamo comunichiamo qualcosa che ci appartiene. Stephen King nella prima pagina della sua autobiografia (on writing) afferma che ciò che in essa è contenuta è tutto vero e tutto falso. Non potrebbe essere diversamente.

Le storie inventate  sono una proiezione di una parte che è dentro di noi: l’ambientazione, i personaggi sono una sorta di strumento che utilizziamo per comunicare qualcosa di intimo e nostro. Anche le storie più lontane da noi possono raccontare le nostre emozioni, il nostro sguardo.

Non sempre si tratta di un camuffamento, qualche volta può essere l’unica alternativa per raggiungere ricordi, emozioni sentiti come pericolosi, inaccettabili o dolorosi.

Allo stesso modo chi scrive la propria autobiografia o scrive un diario non è detto che non si stia nascondendo o camuffando.

Rileggere ciò che scriviamo può mostre quanto i nostri pensieri possano essere ripetitivi e girare in tondo oppure, come avviene nei sogni, regalarci un’intuizione che ci permette di andare avanti, di tirare un sospiro di sollievo, di avvicinarci a noi.

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