L'intervista della domenica

Eugenio Allegri è Cyrano

Eugenio Allegri è nato a Collegno nel 1956, si diploma all’Itis di Grugliasco, città nella quale è cresciuto, poi partecipa al suo primo stage di commedia dell’arte tenuto in Italia nel 1978 da Jacques Lecoq e si diploma nel 1979 alla Scuola di Teatro Galante Garrone di Bologna.

«La rotondità del mondo, del moto della terra, rotonda come il palco sul quale si svolge la storia che raccontiamo».

Eugenio Allegri introduce così La storia di Cirano, opera da lui scritta assieme a Gabriele Vacis che ha debuttato vent’anni fa è tornato in scena da Combo, nell’ambito del cartellone di Blu Oltremare, rassegna realizzata dal Teatro Stabile per Torino a cielo aperto.

Si parte dal palco, l’originale spazio ricavato nell’ex caserma di corso Regina Margherita, a pochi metri da Porta Palazzo, dove Combo si è installato e ha aperto le proprie porte agli spettacoli estivi. «Lo spazio si presta molto — spiega Allegri — e favorisce il rapporto con la musica, che nel lavoro di Gabriele e del Laboratorio Teatro Settimo è sempre presente».

Con Vacis alla regia, Allegri è sul palco a recitare questo celebre monologo. «Questa — racconta l’attore — è una storia di giovani ed è uno spettacolo rivolto ai giovani. Il personaggio di Cirano è eccentrico ed è anche molto moderno, è un militare che scrive di teatro, e poi è realmente esistito. L’operazione è stata scardinare la bellissima scrittura teatrale di Edmond Rostand per portare il tutto a una dimensione di teatralità del mondo».

Ma si indagano soprattutto i tre personaggi principali, Cirano, Rossana e Cristiano, con una attenzione alla concretezza e alla essenzialità. «Nel tempo — aggiunge Gabriele Vacis — si tolgono cose più legate a delle idee che a reale comunicazione. A forza di togliere, è rimasto Eugenio Allegri su una pedana che racconta».

L’attore è il personaggio stesso, non si limita a interpretarlo, ma è come se lo portasse sul palco per interagire con il pubblico. «Eugenio diventa Cirano — prosegue il regista — ma è sempre una immedesimazione dichiarata, come se la metamorfosi avvenisse in quel momento. Mi interessa molto questo aspetto, è il segreto del teatro di narrazione».

Del resto, l’obiettivo è anche cercare il contatto con le persone — uno dei motivi per cui si tende a non lasciare completamente al buio gli spettatori — perché «il teatro è comunicazione diretta» e il cortile di Combo facilita questo lavoro. Sulla apertura dei teatri, peraltro, Vacis aveva fatto alcune proposte nel periodo di lockdown.

«Credo sia inevitabile — conclude — che si realizzi quello che avevo detto nella mia lettera. Il teatro va nella direzione dell’apertura e del rapporto con il pubblico, che ha sempre più voglia di essere protagonista. E anche l’attore può vedere chi lo sta guardando, credo che questo sia il futuro».

Ma tutto questo comporta una piccola rivoluzione all’interno del mondo del teatro. «L’operazione, però, richiederà una revisione dei tempi dei teatri, perché restino aperti molto di più, come avviene per le prove, un momento affascinante. Servirà, per chi fa teatro, lasciarsi alle spalle la paura da prestazione, come in tutte le cose».

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