Persone

Generazione “Erasmus”, la meglio Europa!


di Athena Pesando

In un clima politico e sociale che spinge sempre di più ai nazionalismi e alla paura del diverso, si assiste a un fenomeno diametralmente opposto tra i giovanissimi: è quella che viene chiamata la “generazione Erasmus”. Si tratta di ragazzi e ragazze che frequentando l’Università hanno la possibilità di ottenere una borsa di studio e fare dai 3 ai 12 mesi di Università in un altro paese facente parte dell’Unione Europea, o che abbia stipulato accordi con essa, come ad esempio la Svizzera.
Sono una studentessa universitaria a Torino, ho 23 anni, scrivo per la Voce della Dora da circa un anno e da due settimane anche io faccio parte della generazione Erasmus. Innanzitutto, per chi non sapesse come funziona, lascio un paio di informazioni pratiche su cosa è esattamente e come si può fare per partire per l’Erasmus.
Per permettere anche agli studenti meno facoltosi di poter accedere a questa opportunità, l’Unione Europea mette a disposizione di ogni paese membro un fondo destinato proprio all’Erasmus, ogni ateneo italiano poi elargisce il denaro agli studenti secondo diversi criteri. Nello specifico l’Università degli Studi di Torino mette a disposizione delle borse di studio proporzionate in base all’ISEE dello studente e al caro vita del paese ospitante (come si può ben immaginare, vivere a Budapest non ha gli stessi costi che ha vivere a Oslo).
Ma in cosa consiste esattamente il programma Erasmus e come vi si può accedere? È, come già detto, la possibilità all’interno del proprio percorso universitario di fare dai 3 ai 12 mesi di studio all’estero, seguendo le lezioni e dando gli esami nel paese ospitante, gli stessi esami sono poi riconosciuti in Italia e valgono ai fini del raggiungimento dei CFU (crediti formativi universitari) necessari per conseguire la laurea e naturalmente concorrono alla media dei voti finale. Alcuni paesi esteri richiedono, per accettare gli studenti, il certificato della lingua ufficiale, come ad esempio molti atenei francesi, altri richiedono il certificato di lingua inglese, altri ancora nessun certificato, come ad esempio diverse università spagnole. Questa esperienza è possibile tramite degli accordi stipulati tra le due università che si “scambiano” gli studenti, si intende che, per esempio, l’Università degli Studi di Torino mette a disposizione tre posti per gli studenti dell’Università Complutense di Madrid e viceversa.
Una volta l’anno esce il bando per fare domanda, consultabile sul portale internet della propria Università di appartenenza. Per quanto riguarda Torino, per fare domanda bisogna scrivere una breve lettera di presentazione e inserire il proprio “curriculum universitario” ossia la media degli esami, oppure se si è già conseguita la laurea triennale il voto preso. Fatto ciò bisogna indicare la preferenza per tre atenei esteri, che possono essere dello stesso paese o di paesi diversi. Dopo alcuni mesi, vengono rilasciate le prime graduatorie, con le città assegnate ai primi in graduatoria, ossia coloro i quali potranno andare nelle città “preferite”, dopo vengono contattati gli altri, che hanno la possibilità di scegliere tra i posti rimasti. Una volta avuta la destinazione lo studente deve creare un piano di studio dove esplicita quali esami desidera dare all’estero, quanti CFU valgono eccetera.
Fatte le dovute premesse “burocratiche” volevo spendere due parole per parlare della mia esperienza. Non avevo mai preso in considerazione l’Erasmus quando ero in triennale, probabilmente perché, come ci ha insegnato una cultura scolastica tutta italiana incentrata solo sullo studio teorico di tomi da mille e passa pagine, ero focalizzata unicamente sullo studiare studiare e studiare, pensavo che fare un’esperienza all’estero avrebbe solo ritardato il raggiungimento della laurea. Dopo la mia prima laurea ho iniziato la magistrale e mi sono resa conto che mi mancava qualcosa, il tempo stava passando troppo velocemente e sarei arrivata al mondo del lavoro con un bagaglio personale “monco”. Credo che anche i vari cambiamenti politici degli ultimi anni mi abbiano portato a riflettere, mi chiedevo come mai gli italiani stessero tornando indietro invece di andare avanti, non riuscivo a spiegarmi perché lo stesso paese che qualche anno prima aveva approvato le unioni civili adesso guardava con diffidenza “i diversi” (stranieri ma anche italiani dai tratti somatici “non occidentali”, persone LGBT e persino chiunque con un’idea politica non conforme a quella espressa dalla maggioranza).
Per tutta questa serie di motivi ho deciso di aprire i miei orizzonti, e due settimane fa sono partita per Madrid, starò qui per sei mesi. All’inizio ero un po’ spaventata, non avevo mai vissuto così tanto lontano dalla mia famiglia, dai miei amici e dalla mia città natale, inoltre non avevo mai studiato lo spagnolo. Quando sono entrata per il primo giorno nella mia nuova classe mi sono subito accorta che ero l’unica non-spagnola, insomma ero io “la straniera”, quella che non parlava neanche bene la lingua e che era abituata a un sistema scolastico del tutto diverso. Quello che però è successo è stato del tutto diverso dalle paure che avevo: mi hanno subito tutti accolto come una di loro, aiutandomi quando non riuscivo per questioni linguistiche a capire quel che spiegava la professoressa, invitandomi a uscire con loro e adesso a due sole settimane di distanza riesco già a padroneggiare lo spagnolo almeno a un livello base.
Quello che penso che noi italiani dovremmo imparare dai madrileni è l’apertura mentale che hanno i ragazzi e le ragazze che vivono qui, oltre che il modo impeccabile con cui è organizzata la città: ci sono 10 linee di metropolitana, i bus passano ogni 5 minuti, la gente fa la coda per salire e tutti pagano il biglietto; inoltre l’università non è unicamente teorica come in Italia, metà della valutazione degli esami è basata su lavori di gruppo pratici tramite i quali si impara realmente a lavorare in team e a “fare”.
Se qualcuno di voi lettori si sta chiedendo se andare o no a fare l’Erasmus, il mio consiglio è assolutamente si. Non solo per imparare una lingua o scrivere una riga in più sul curriculum, ma per potersi confrontare con una differente cultura europea, provare sulla propria pelle almeno in parte cosa voglia dire essere quello che viene da un altro paese e che non parla bene la lingua e vedere quanto sia fondamentale sentirsi accolti. Chi ha inventato il progetto Erasmus ci aveva visto lungo: è uno degli strumenti migliori che oggi abbiamo per combattere la xenofobia e il nazionalismo gretto. Quindi non pensateci un secondo di più, fate i bagagli e partite, con la mente aperta e lo spirito leggero.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *