Mamma, quando finirà questo virus?
di Chiara Lovera*
Da quando è stata dichiarato l’inizio del lockdown ad oggi è passato un po’ di tempo. Nel frattempo sembrerebbe che la crisi legata all’emergenza sanitaria non sia ancora conclusa e che si stia delinenando uno scenario in cui tutti noi dovremo imparare a convivere con il virus, modificando
l’idea di normalità che avevamo costruito fino ad ora.
Tutto questo ha generato nuove domande e preoccupazioni connesse agli effetti emotivi e alle ricadute economiche che ci saranno sulla vita di
ciascuno di noi.
La mia bambina di quattro anni qualche giorno fa mi ha chiesto: “Mamma, quando finirà questo virus?“. Le ho risposto che non lo so ma che ci sono medici e scienziati che si stanno occupando di questo problema per risolverlo il più presto possibile.
Non è molto rassicurante per un bambino piccolo non sapere quando qualcosa finirà – non lo è per un adulto – ma questa è la verità anche se
spiacevole. E sono convinta che la verità sia la chiave per diventare consapevoli e quindi accedere alle proprie risorse per farvi fronte. Fin da piccoli. I bambini non hanno bisogno di versioni edulcorate, i bambini hanno bisogno di verità.
Quando parlo di verità intendo non solo la verità dei fatti ma anche e soprattutto la verità emotiva. Cioè i bambini hanno bisogno di non essere ingannati, per esempio, sulle emozioni che provano i loro genitori o gli adulti a cui fanno riferimento perchè hanno la capacità di sentire l’atmosfera emotiva in cui sono immersi e perchè il conoscere qualcosa, compresa un’emozione, permette loro di sentirsi sicuri.
Scrivo questo perchè in questi giorni si è molto discusso sulla grande privazione che stanno vivendo i bambini che, da un giorno all’altro, hanno dovuto adattarsi a stare in casa, svolgere lezioni online, vedere i propri amici o parenti attraverso lo schermo del telefono e rinunciare a giocare all’aria aperta. Tutto questo è certamente un grande sacrificio soprattutto per i bambini piccoli che pensano attraverso il corpo e quindi costretti in casa devono fare a meno di una grande possibilità di espressione e di benessere legata al movimento.
Ogni realtà è poi diversa; ci sono famiglie che vivono in case con un giardino, altre in pochi metri quadri, famiglie separate, famiglie conflittuali,
famiglie con nuovi nati, famiglie con bambini che necessitano di cure speciali, famiglie che hanno vissuto più da vicino il dolore per la perdita di un proprio caro durante questa emergenza. Nessuno di noi, purtroppo, può dirsi immune alla necessità di fare i conti con una realtà così critica.
Ma facciamo un passo indietro. Seppur con tutte le limitazioni e i temi a cui si è fatto cenno, possiamo però affermare, che i bambini hanno gli adulti. E’ attraverso la relazione con i genitori (o altri adulti significativi) che i bambini imparano a regolare le loro emozioni, conoscono la realtà e imparano a farvi fronte.
In che modo, quindi, gli adulti possono aiutare i propri bambini ad attraversare questo frangente? Innanzitutto abbandonando l’idea di dover essere genitori perfetti; i genitori sono esseri umani : sono felici, tristi, sconfortati, irritati, arrabbiati, fanno cose giuste, sbagliano, sono imperfetti e, tuttavia, restano dei buoni genitori o meglio, parafrasando Winnicott**, sono genitori sufficientemente buoni.
La nostra società nutre l’idea di madri multitasking sempre disponibili, se non a disposizione, dei propri bambini e di padri super eroi . La famiglia di oggi è una famiglia affettiva – a differenza della famiglia normativa di un tempo – dove ciò che conta è la felicità dei propri figli. Il rischio è quello di caricare di aspettative e desideri propri i figli stessi e di valutare la propria adeguatezza come genitori in base alle risposte che riceviamo dai più piccoli; da qui è facile cadere nella trappola: se mio figlio prova emozioni positive (allegria, accordo, calma) sono un bravo genitore, se mio figlio prova emozioni negative (rabbia, disaccordo, tristezza) sono un cattivo genitore.
L’ insidia è nell’illusione di onnipotenza che viene coltivata e nel giudicare sbagliate le emozioni negative.
Il lockdown imponendoci di condividere – molto spesso senza interruzione – lo stesso spazio può creare un cortocircuito degli equilibri familiari.
I bambini risentono delle limitazioni della quarantena in modi diversi : per esempio, possono esserci richieste continue, bisogno di stare sempre a contatto o comportamenti regressivi.
Se da un lato comprendiamo quanto accade ai nostri bambini, dall’altro ne siamo irritati anche perchè molto probabilmente impegnati ad occuparci di molte cose, può capitare di trattenersi con l’effetto di reprimere la propria irritazione per poi vederla esplodere quando raggiunge il culmine.
Possiamo sentirci tristi, stanchi, arrabbiati, preoccupati e mostrarlo ai nostri figli, ci permetterà di sentirci più liberi nella relazione con loro e di modulare meglio le nostre reazioni e sarà l’occasione per sviluppare la loro empatia – cioè la capacità di riconoscere e capire le emozioni dell’altro –
alimentando una relazione viva e autentica che permetterà loro di sentirsi sicuri e emotivamente e reciprocamente in contatto.
*psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva
**L’autore citato nel testo è Donald WoodsWinnicott, pediatra e psicoanalista inglese ( 1896/1971).