Rubrica di psicologia

Chi ha paura dello psicologo? 


di Chiara Lovera*

Qualche tempo fa un mio paziente mi disse, a proposito del percorso terapeutico che avevamo da poco intrapreso: “Vede Dottoressa, dopo questo lavoro mi aspetto di riuscire a convivere meglio con il sottoscritto. Non desidero sfrattare nessuno. Non voglio essere un altro. Però voglio stare meglio”.

Chi inizia un percorso psicologico, sia esso una psicoterapia, una consulenza o un sostegno, bussa alla porta del professionista con un desiderio ben preciso: stare meglio. Accomodandosi sulla poltroncina insieme a questo desiderio, impellente come un bisogno, può esserci o meno un’idea di come realizzarlo e una serie di luoghi comuni e falsi miti che hanno sussurrato nell’orecchio fino a quando non si è scelto di fissare un appuntamento .

Chi è che si rivolge allo psicologo? Esiste ancora un retaggio culturale, un falso mito appunto, per cui sono i matti ad averne bisogno.

Occorre fare un pò d’ordine: ci sono persone che soffrono di gravi disturbi psichiatrici, altre che vivono eventi stressanti, fatiche emotive o difficoltà relazionali, altre ancora possono attraversare un momento di crisi o essere desiderose di intraprendere un percorso conoscitivo su se stesse.

Accade che chi richiede un aiuto di questo tipo possa sentirsi debole, vergognarsi di rivolgersi ad uno specialista e rinunciare dicendosi che può farcela da solo. Provare a risolvere i propri problemi in autonomia è un atteggiamento responsabile ma in alcune situazioni non è possibile,  il fatto di chiedere aiuto mostra consapevolezza e, paradossalmente, forza. Siamo fatti di relazioni con gli altri e con le parti di sè che ci caratterizzano: gli studi sullo sviluppo psicologico mostrano come la nascita dell‘Io sia possibile attraverso il Tu, il sè esiste perchè esiste l’altro. E’ un dato di realtà a cui pensare per attenuare il senso di vergogna che può impedire di intraprendere un percorso psicologico.

Il sintomo – il segnale che impedisce di vivere autenticamente e pienamente – è come una crepa in un sistema che ha funzionato fino a quel momento e che quando viene accolto e ascoltato permette di far filtrare il cambiamento e di invertire la rotta del malessere.

Spesso giudichiamo negativamente un sintomo come qualcosa che provoca sofferenza, possiamo pensare a ciò che crea la nostra sofferenza come il compromesso che la nostra mente ha creato per mantenere un equilibrio, da questa prospettiva il sintomo esprime qualcosa che non è possibile comunicare altrimenti.

Qualcuno potrebbe però obiettare che i percorsi psicologici sono lunghi e non sempre efficaci. La nostra società è la società della velocità: con un clic possiamo metterci in contatto con qualcuno che è dall’altra parte del mondo, siamo tesi a raggiungere risultati e le nostre giornate sono spesso una corsa ad ostacoli tra lavoro, famiglia e relazioni.

 La nostra mente è lenta, è in grado di adattarsi ma ha bisogno di tempo; il cambiamento ci spaventa, allora proviamo a resistergli. Il cambiamento ci pone di fronte all’ignoto e ogni volta che cambiamo dobbiamo fare i conti con una nuova nascita e con la perdita e il lutto di ciò che ci lasciamo alle spalle. E’ inevitabile e spesso ne siamo terrorizzati: come possiamo pretendere di affrontare tutto questo velocemente? Sarebbe come desiderare una bacchetta magica.

D’altra parte non è sempre vero che il lavoro psicologico richiede molto tempo, esistono anche percorsi brevi e consulenze psicologiche: molto dipende dal motivo che porta alla consultazione, dall’approccio del terapeuta e da quanto concordato con il professionista all’inizio degli incontri.

Accanto a questo c’è l’idea che andare da uno psicologo sia costoso: non è sempre vero, esistono iniziative pubbliche e private per ridurre i costi ed è auspicabile che la politica si occupi di inserire tra le sue priorità i bisogni psicologici del paese nella direzione di andare incontro ai bisogni di tutta la popolazione e di scardinare le resistenze ad usufruire dell’aiuto psicologico legate, appunto, al costo degli interventi. Come ho scritto in un altro contributo: la salute psicologica è un diritto. L’intervento psicologico è la cura della parola : come possiamo risolvere problemi concretiattraverso le parole?

Il linguaggio descrive e crea la realtà modellando i significati che attribuiamo ad essa e quindi le azioni che compiamo su di essa.

L’ascolto psicologico può essere banalizzato ad una chiacchierata con un buon amico: lo psicologo è un professionista che ha seguito un lungo e preciso iter formativo, continua ad aggiornarsi e possiede strumenti relazionali allenati, inoltre, non è coinvolto in dinamiche affettive con il paziente e insieme possono creare uno spazio mentale in cui occuparsi del cambiamento e del benessere.

Sull’efficacia dell’intervento è bene ricordare che i professionisti devono rispondere ad un codice deontologico e inoltre il lavoro psicologico non è soltanto responsabilità di chi lo offre ma anche di chi lo riceve; non possiamo modificare ciò che ci succede ma possiamo decidere come comportarci e quali reazioni avere rispetto a quanto ci è accaduto.

La cura psicologica, come qualsiasi cura, necessita della collaborazione di chi la intraprende. Quando vogliamo dimagrire possiamo rivolgerci ad un dietologo e decidere di iniziare una dieta, otterremo dei buoni risultati grazie al nostro impegno, non solo per merito della bravura del medico a cui ci siamo rivolti.

Alcuni pazienti, al termine delle sedute ringraziano, quando accade ricordo loro che allo stesso modo dovrebbero ringraziarsi del fatto che si stanno occupando di se stessi.

*Psicologa e Psicoterapeuta dell’età evolutiva

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