Rubrica di psicologia

CIBO PER IL CORPO, CIBO PER LA MENTE

di Chiara Lovera*

E’ risaputo che una corretta alimentazione favorisce una vita longeva e in salute prevenendo malattie croniche/degenerative e infezioni.

Ognuno di noi ha un particolare rapporto con il cibo che a sua volta è costruito e rafforzato da aspetti culturali, abitudini famigliari, messaggi sociali e vissuti emotivi. Diventare consapevoli di questi aspetti può favorire l’acquisizione e il mantenimento di stili alimentari sani, equilibrati e responsabili .
La stretta connessione tra cibo ed emozioni è evidente nelle più quotidiane espressioni linguistiche: “mio figlio non mi mangia”, per esempio, dove quel “mi” rafforza l’idea che mangiare o meno sia anche legato all’accettare o rifiutare un legame. O ancora: “L’unico ingrediente indispensabile per la riuscita di una ricetta è l’amore”. Noi tutti abbiamo sperimentato il piacere della convivialità – “una bella mangiata tutti insieme” nel celebrare un evento importante della nostra vita.


La Storia ci insegna che le tradizioni gastronomiche nel tempo sono state contaminate dall’incontro tra popoli diversi e il cibo, quindi, assume anche il significato di “apertura” o “chiusura” nei confronti di ciò che è nuovo e altro rispetto a noi. Quindi, l’aspetto biologico del nutrimento legato ad un istinto di sopravvivenza e segnalato dalla fame, nel corso della storia umana è stato affiancato e spesso sostituito dal bisogno di condivisione e di soddisfare desideri legati alla sfera emotiva.

Il cibo è un tassello che contribuisce alla costruzione della soggettività e del senso di sè. Il pasto può , diventare talvolta un vero e proprio “campo di battaglia” con se stessi o gli altri. Per comprendere la qualità del rapporto che abbiamo con il cibo è fondamentale operare la distinzione tra “fame” e “appetito” : spesso questi termini sono utilizzati come sinonimi, ma
rimandano ad ambiti di significato differenti e riconoscerli è importante per un approccio più consapevole all’alimentazione.

La “fame” è una sensazione di vuoto che spinge l’individuo a mangiare, non importa cosa, per attenuare la sofferenza legata all’impulso generato dallo stomaco. L’ “appetito”, invece, “è rappresentato solitamente dal desiderio di assumere un particolare tipo di cibo, non sempre connesso al suo reale bisogno e la cui ingestione si accompagna a una sensazione di piacere, di solito si tratta di un desiderio mentale per cui già la mente pregusta un “certo” cibo particolarmente agognato e stimolante, anche senza registrare la sensazione di fame” ( Laura Bandelloni, I disturbi del comportamento alimentare, una prospettiva psicoeducativa, pag. 27 , Roma, Armando, 2009). La distinzione è quindi tra un bisogno fisiologico e un desiderio psicologico.
La soddisfazione di un bisogno fisiologico è data dal senso di sazietà che spesso, quando si soffre di un disturbo alimentare, non viene correttamente interpretato.
La nostra società è caratterizzata da un flusso di informazioni e messaggi rispetto all’alimentazione che molto spesso si rivelano fuorvianti per il consumatore che rischia di esserne travolto e schiacciato. La maggiore offerta amplifica l’idea che ciascuno di noi possa porre maggiore attenzione alla propria dieta e possa, d’altro canto, non solo soddisfare un bisogno di sopravvivenza legato al cibo, ma anche rispondere ai propri bisogni psicologici di consolazione, di fuga da sè, di controllo che talvolta possono portare ad un vero e proprio disturbo del comportamento alimentare.


Disorientati dalle incessanti offerte del mercato – spesso illusorie e orientate più al guadagno che al benessere del consumatore – e sottoposti a modelli estetici e di prestazione fisica idealizzati e spesso irraggiungibili possiamo ritrovarci intrappolati in un consumo di cibo distorto. Un esempio lampante è dato dalle diete che promettono risultati immediati: queste
proposte soddisfano il nostro bisogno di ottenere “tutto e subito” con il rischio di un risultato difficile da mantenere nel tempo.


I ritmi veloci a cui siamo sottoposti per necessità di vita o lavorative in un contesto in cui ciò che conta è la velocità, la prestazione a tutti I costi, tendiamo a modificare le nostre abitudini legate ai pasti consumando spesso cibi già pronti, alternando digiuni e abbuffate. La cucina richiede tempo perchè è un atto creativo e di cura verso se stessi e gli altri. I tempi
sono importanti nella riuscita di una pietanza. Cogliere questo dettaglio potrebbe essere un primo passo per aumentare la nostra consapevolezza rispetto al nostro modo di nutrirci e diventare più responsabili e attivi nella scelta di ciò che la grande distribuzione e i mass media ci offrono in fatto di cibo.
Nel suo significato etimologico, la parola “dieta” deriva dal greco e significa modo di vivere. Una dieta non coinvolge soltanto le nostre scelte alimentari, coinvolge le abitudini che costellano la nostra quotidianità per esempio il tempo dedicato all’attività fisica o alle nostre passioni e coinvolge il contatto profondo con le nostre emozioni.

*psicologa e psicoterapeuta

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