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L’orecchio amico del Prof

Salvatore Tripodi, è l’autore del libro ““L’orecchio amico del Prof”.

Calabrese di nascita e torinese di adozione, è autore di numerose pubblicazioni sull’esperienza scolastica, in particolare sulla dispersione e sull’intercultura

Giovedì 20 ottobre, presso i locali della Piazza dei Mestieri di Via Durandi 13, ha presentato il suo nuovo libro, uno spaccato di una scuola che  arriva dal passato ma che racconta del presente, dentro una pandemia che ha messo in discussione il senso profondo dell’apprendere e dell’importanza delle relazioni educative, e che racconta storie che alimentano i ricordi dei giorni di scuola, le sfide e i risultati ottenuti dopo ore e ore di studio, i docenti che sono stati in grado di imprimere il loro segno nella vita dei propri allievi.

In questo leggere e pensare di scuola mi torna in mente anche un altro professore e scrittore, Enrico Galliano, che ci ricorda come dalla scuola parta il vero cambiamento: dalle macchie di gesso sui vestiti, il rumore delle sedie che si spostano, le mani alzate, gli “Scusi prof, non sapevo che fosse per oggi!”. Al cancello, i “dammi il cinque” in stile rapper del ghetto, e all’uscita le corse giù per le scale in stile Fuga per la vittoria.

Secchiate di vita vera, di terrore, di sogni, di rabbia e di desideri che ti piovono addosso ogni giorno.

E mi viene anche in mente che a Torino, proprio in questi giorni, si tiene un grande festival sull’educazione con grandi interventi, dibattiti e workshop, proprio perché scuola vuol dire società, istituzioni, soluzioni, reti e comunità educative.

Parlare di questo libro, e di come l’autore abbia saputo raccogliere i tanti aspetti e le sensazioni che pervadono il mondo della scuola, mi permette anche di imprimere ciò che la scuola ha nel suo DNA, a dispetto dei commenti negativi che ogni giorno la definiscono agli occhi delle famiglie e della società, a dispetto delle riforme incompiute e delle buone intenzioni sempre ferme al palo: uno sguardo evolutivo, la possibilità di ammirare da un punto di vista speciale e preferenziale la vita che cresce, la maturità di giovani uomini e donne, il futuro davanti a sé prima ancora che accada.

Il libro nasce da una occasione, come spesso succede, e da un cambiamento: un trasloco che riporta in luce lettere polverose e tempi andati. Il contesto è la scuola, gli spunti sono quei fogli di carta mai cestinati. il Professore; Adamo Rubacuori, il preside più amato dalle studentesse; la professoressa Sonia Fontanella; l’imprenditore Aldo Di Marro; il religioso Fra Giacomo; il signor Pupo; Corinne, amica parigina del Professore; Carla Circe, lontana parente del personaggio omerico; Genta, professoressa di Francese: questi i personaggi che fanno da cornice alle storie dei ragazzi: “Angelino viene trovato un giorno di primavera su una panchina ai giardini reali di Torino da una signora che portava il cagnolino a spasso come ogni mattina. Il ragazzo si lamenta, appare infreddolito e cinereo in volto.

“Carlotta piange a dirotto, sembra un fiume in piena, seduta sugli scalini dell’ingresso della scuola, attorniata da Angela, la sua migliore amica, e da alcuni compagni di classe. È andata a vedere i tabelloni dopo lo scrutinio finale e ha “scoperto” di non essere stata ammessa agli esami”.

“Lo – zio – non è propriamente un suo parente, ma un amico di famiglia che spaccia droga da qualche anno. Lo conosciamo bene. Ha usato il ragazzo come corriere e quando ha capito che lo stavamo cercando per arrestarlo, ha fatto salire Driss sul treno per Genova dove è stato ospitato da un amico marocchino per questo breve periodo”

La conclusione è ricca di domande e di interrogativi sempre attuali per chi come me, si occupa anche di educazione: grazie Salvatore Tripodi per questo libro, da leggere, ma soprattutto da “ascoltare” con l’orecchio amico. Non solo quello del prof.

“Una cosa io penso di averla capita: questa pandemia una volta o l’altra finirà e dovremo darci da fare. ― Cosa intendi dire?

― Dobbiamo assumerci delle responsabilità, non possiamo pensare che vivere sia studiare, divertirsi e fare finta che tutto il resto vada come deve andare.

― Cavolo che pensata! E cosa dovremmo fare secondo te?

― Noi giovani dovremmo iniziare a fare politica in prima persona, non delegare i cosiddetti “adulti” o anziani, fare la nostra parte, insomma! Alla nostra generazione non mancano le competenze. Si tratta di utilizzarle, di metterle a disposizione del bene comune.

― Ti rendi conto di cosa stai dicendo? E quale sarebbe il “bene

comune”?”

*I proventi dei diritti d’autore sono destinati all’associazione AISM di Torino.

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