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La mimosa, il fiore delle staffette partigiane

Nel 1946 venne festeggiato per la prima volta dopo la Guerra l’8 marzo. Luigi Longo, futuro segretario del Partito Comunista, pensava di celebrarlo con le violette. Teresa Mattei, insieme ad altre due partigiane e deputate, Teresa Noce e Rita Montagnana, indicò, invece, la mimosa: fiore che sboccia proprio ai primi di marzo, fiore povero, fiore che si trova anche nei campi. Quel fiorellino giallo non è nato per caso. «La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette – ricordò proprio Mattei in una delle tante commemorazioni –  Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente».

 

di Pippo Giuseppe Rizzo

La Resistenza fu un fenomeno collettivo, fu una vera reazione del popolo. Il numero di donne che contribuì fu molto elevato. Il loro supporto alla lotta partigiana cominciò fin dall’otto settembre del ’43. Furono 5mila le donne partigiane, che operavano come combattenti; 20mila  con funzioni di supporto; 4563 di loro furono arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti e 2900 giustiziate o uccise in combattimento. 2750 vennero deportate in Germania nei lager nazisti, 1700 furono le donne ferite e 623 quelle fucilate e cadute.

Durante il secondo conflitto mondiale le donne, non solo diedero un grosso contributo alla liberazione del Paese, ma acquisirono un ruolo importante anche a livello economico-produttivo. Mentre gli uomini venivano richiamati a combattere, le donne, rimanendo a casa, dovettero sostituirli nell’industria e nell’agricoltura. Nel mondo rurale e soprattutto tra le donne, la coscienza antifascista maturò più lentamente, legata tutt’al più a ricordi di episodi di violenze fasciste subite dai familiari o di danni alle proprietà. Tuttavia, soprattutto nelle campagne, mettevano a disposizione le loro case, rischiando anche la vita, per aiutare i feriti, i convalescenti e dare rifugio alle persone in fuga. Piuttosto che la diretta partecipazione alle attività belliche o politiche il sostegno pratico delle donne andava a sostegno delle attività partigiane.

Il fascismo considerò l’ideale della donna, come “angelo del focolare”, escludendole da ogni attività extra familiare. Ma la propaganda scatenò la reazione di una parte consistente del mondo femminile che reagì per la sua avversione al fascismo, con le intellettuali, professioniste, studentesse, ma anche e soprattutto donne del popolo. Talvolta organizzavano riunioni private a carattere politico, agganciate all’attività partigiana locale. Molto importante era anche la raccolta di fondi, finalizzata a dare aiuto ai parenti degli arrestati, alle famiglie dei partigiani particolarmente bisognose.

Nelle formazioni, specie nei primi tempi, le donne non furono accettate da tutti, ma alla fine anche i più scettici dovettero ricredersi. Le partigiane combattevano al fianco gli uomini, nelle montagne, al freddo, si dedicavano a delle vere e proprie azioni di sabotaggio militare, mettendo a rischio la loro vita. Le donne portarono soprattutto un forte supporto morale all’interno del gruppo, essenziale in quei momenti così difficili.

Nella Resistenza  fondarono squadre di primo soccorso per aiutare i feriti e gli ammalati, contribuirono nella raccolta di indumenti, cibo e medicinali, si occuparono dell’identificazione dei cadaveri e dell’assistenza ai familiari dei caduti. Intensa fu anche la loro attività di propaganda politica, nonché gli atti di sabotaggio e di occupazione dei depositi alimentari tedeschi.

Particolarmente prezioso fu il loro compito nella comunicazione: Il ruolo della staffetta, era spesso ricoperto dalle più giovani, per il semplice fatto che si pensava destassero meno sospetti. Garantivano i collegamenti tra le varie brigate e mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie. Le Staffette, di solito, non erano armate, quindi il loro compito era molto pericoloso.

Quando tutto finì, la maggior parte delle donne fu nuovamente dimenticata, sono ritornate nelle loro case, hanno ripreso i lavori domestici, scegliendo di rimanere nell’anonimato.

Ma il loro contributo nella Resistenza non rimase inosservato, dopo il referendum del 2 giugno, quale primo riconoscimento, ne furono coinvolte il cospicuo numero di 21 nella Costituente. Oggi diremmo che 21 sono un esiguità, ma allora fu un vero e proprio trionfo e riconosciuto valore del loro ruolo. Quindi, a dimostrare che soltanto con l’unità d’intenti sarebbe stato fondamentale poter raggiungere gli obiettivi nell’interesse di tutti, le donne ebbero il loro ingresso nella vita politica attiva del Paese.

Le prime donne che entrarono in Consiglio Comunale a Grugliasco dopo le elezioni di quel marzo del 1946 si chiamavano Maria Lucia Comba, indipendente, e Adelaide Onesto, del PS. Quest’ultima entrò, poi in Giunta il primo luglio del 1949. Per vedere altre donne in Consiglio, si dovrà attendere le elezioni del novembre 1960. Ma, proprio in quell’anno, alle elezioni del 6 novembre 1960, entra per la prima volta, nell’organo esecutivo del Comune, una partigiana, Anna Anselmo, una protagonista degli scioperi del 1943.

 

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