Salute e benessere

I matti esistono ancora?

Fino agli 70 del secolo scorso i matti erano matti e tutti coloro (psichiatri compresi) che ribadivano che i pazzi non erano “matti da legare” erano considerati matti. Quindi non si potevano fare affermazioni diverse da quelle correnti. La maggioranza della gente si adeguava a questo modo di esprimersi. Anche nel gergo comune, spesso si faceva riferimento alle persone fuori di senno. “Fai attenzione a quello che fai, altrimenti ti porto a Collegno”. La stessa parola Collegno era sinonimo di manicomio.

Scale "in sicurezza" del manicomio di Collegno

Oggi siamo in una situazione diametralmente opposta: tutti coloro che hanno problemi psichici (questa è la dizione mediatica corrente) non possono essere indicati come matti perché, si dice, la malattia mentale non esiste.

Il pensiero di coloro che osano affermare che queste persone sono malate e che dovrebbero essere ricoverate e internate coattivamente viene stigmatizzato e disprezzato. Questi “maligni” vengono considerati fuori dal mondo, disumani, persone che non conoscono la scienza moderna.

Spesso si sente affermare che la malattia mentale non esiste, che è solo un “disagio” e che la schizofrenia e la paranoia sono invenzioni degli altri secoli e non sono realmente malattie mentali.

Forse questo modo di pensare dipende dal fatto che la malattia mentale non presenta segni tangibili come febbre o altri disturbi fisici riconoscibili facilmente. Si dice genericamente che la persona non è “normale”. Sul significato di questo vocabolo, però, si è discusso a lungo: che cosa significhi normale resta, però, un mistero. Vengono accettati comunemente i cosiddetti “disturbi psicosomatici” ma, a volte, vengono scambiati per disturbi fisici veri e propri, altre volte invece, questi disturbi vengono gestiti con blandi psicofarmaci o con tecniche di rilassamento. 

Riepilogando: alcuni affermano che la malattia mentale esiste, altri negano che possa sussistere.

Trovare un compromesso tra queste due correnti di pensiero potrebbe essere una buona soluzione.

Sono necessarie, però, alcune riflessioni scevre da emozioni e sentimenti.

La società può permettersi di lasciare che persone con disturbi psichici (frase che viene sempre riportata quando si fa riferimento a persone che hanno comportamenti “fuori” dal normale) dormano ubriache in inverno per strada in mezzo a cartoni e materassi di fortuna, spesso con cani al seguito? Prendersi cura di un animale serve per sentirsi utili, trasmettere e ricevere calore affettivo, aiutare anche a superare tristezza e scoramento. Ma non è sufficiente.

Sarebbe forse il caso di cercare di costruire delle case di accoglienza per collocare queste persone.

E se queste persone decidono liberamente di non andare in queste case riscaldate, possiamo costringerle? E se si, in che modo? Coattivamente? Cercando di persuaderle con buone parole? Avete mai provato a seguire il “delirio” (questo è il termine medico specifico) di una persona affetta da schizofrenia? Affascinante, ma completamente irrazionale.

Esperimenti di case famiglia sono già stati fatti all’indomani della chiusura dei manicomi. Hanno avuto successo?

Queste persone non vogliono essere accudite proprio perché soffrono di disturbi mentali e quindi decidono liberamente della propria esistenza (almeno fino a quando non sono interdetti).

Forse possiamo convincere un matto a ragionare? Ma se è matto vuol dire che non ragiona, come possiamo convincerlo ad accettare un comportamento socialmente accettabile? Ah già, ma la malattia mentale non esiste. Qui entriamo in un “loop” impossibile da risolvere con il pensiero razionale.

E’ possibile per una società imporre a tutti un comportamento socialmente accettabile? E se si, quali sono i limiti invalicabili di una imposizione? Non consentire ad una persona di vivere in modo “non civile “ sotto i portici in una città, rientra tra questi.

Questi soggetti vivono in questo modo solo in città o anche nelle campagne e nei piccoli paesi? In tutti i piccoli borghi esisteva uno “scemo” del villaggio. Era accettato da tutti. Preso in giro bonariamente, forse si. Ma quasi tutti contribuivano al suo mantenimento. Difficilmente dormiva per strada.

Ultimamente sono stati pubblicati diversi testi sulle condizioni spaventose in cui vivevano i matti nei manicomi. Nel passato sono stati condannati medici che (probabilmente sadici, difficilmente in buona fede) trattavano i loro pazienti all’interno dei manicomi in modo talmente disumano da far rabbrividire spacciando soprusi come terapie atte a guarire o almeno a far rimanere tranquilli gli elementi più agitati. Elettroshock e altre forme di contenzione terribili sono state ampiamente documentate.

Elettroshock: strumento di cura o di tortura?

Credo che il problema risieda proprio qui. La coscienza della memoria fa paura. Il timore che ciò che è avvenuto nel passato possa ripetersi spaventa.

La tendenza è quella di confondere la brutalità che esisteva nei manicomi con le eventuali cure possibili e rispettose della dignità dell’individuo. Però la medicina e la psichiatria, in questo momento, possono fare ben poco per “curare” queste persone: si fa ricorso a tranquillanti che altro non sono che una camicia di forza chimica, fotocopia di quella fisica che veniva usata nei manicomi. Quindi niente cura, ma semplice contenimento come prima ma, apparentemente, meno cruento.

L’alternativa a queste cure è, purtroppo, e succede sempre più spesso nelle vie delle grandi città, lasciarli al proprio destino, spostando la propria passeggiata per non vederli e lasciando qualche monetina per tranquillizzare la coscienza.

Sarebbe utile affrontare la questione con un serio dibattito avulso da emozioni, non scientifico, (perché la scienza medica oggi non è in grado di risolvere la questione) per risolvere il problema sempre più evidente nelle città che contemperasse la dignità delle persone e un loro modo di comportarsi più civile che le conducesse ad una vita modesta, serena, ma rispettosa delle cosiddette consuetudini normali.

Francesco Valente

psicologo

Francesco Valente (psicologo dal 1976) ha nel suo curriculum una collaborazione, nel 1973/74, con il Centro Socioterapico di piazza Massaua a Torino collegato al manicomio di Grugliasco “Villa Azzurra”.

Il Direttore dei manicomi di Torino Edoardo Balduzzi, seguace delle ideologie di Basaglia, nell’ottica del superamento dell’istituzione manicomiale, introduce un tentativo di socializzazione di alcuni pazienti che erano in manicomio da molti anni (alcuni addirittura da più di 25anni).

Il centro socioterapico accoglieva ogni mattina una decina di ospiti di Villa Azzurra e, con l’aiuto di psicologi, medici, infermieri e studenti, ospitava queste persone cercando di far fare loro una vita diurna normale.

Questo fu uno dei primi tentativi di rendere umano il rapporto con i pazienti dei manicomi e terminò quando fu introdotta la legge Basaglia nel 1978.

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