Politica

Cosa ha detto Letta a Gramellini..

Enrico Letta ha rilasciato una intervista a Gramellini che ha susciato molto scalpore. Che cosa ha detto? La riprodiciamo di seguito:

«Per la dote ai diciottenni sarei disposto a venire a patti anche sulla legge elettorale. Il mio sogno è trattenere i ragazzi italiani in Italia, senza però farli restare in casa con mamma e papà fino a trent’anni. Il problema principale del nostro Paese è che non fa più figli. Ci vuole una dote per i giovani, finanziata con una parte dei proventi della tassa di successione, e un accesso ai mutui-abitazione anche per chi non ha genitori in grado di fornire garanzie».

Giovani e donne sono i suoi cavalli di battaglia. Perché la destra maschilista ha leader donne in tutta Europa, mentre la sinistra femminista è comandata ovunque da maschi?

«In Francia, in Italia e adesso anche a Madrid, la destra ha una donna al vertice, ma dietro soltanto uomini. Io invece nel Pd voglio creare le condizioni per una parità vera, che passa dalle aborrite quote rosa perché non c’è altro modo per mettere in condizione le donne di occupare posti che consentano loro di fare esperienza e acquisire capacità di guida».

Giorgia Meloni le piace?

«La rispetto. Sono alternativo a lei, ma ha indubbie capacità politiche».

Come farete a perpetuare lo schema dell’Uomo Nero che ha funzionato con Berlusconi e Salvini?

«Molto dipenderà anche dalla Meloni. Io non demonizzo nemmeno Salvini, però sento il dovere di rimarcare le differenze. Per lui la libertà, anche arbitraria, dell’individuo viene prima del bene collettivo, per me no. La destra dice: “Prima Io”. La sinistra: “Prima Noi”. Tornando alla parità, le voglio raccontare di quando andai a Lourdes».

Sembrerebbe il luogo ideale per un nuovo segretario del Pd…

«Già… (ride). Ci sono stato ben prima. Come presidente dell’istituto Jacques Delors, invitato dall’assemblea dei vescovi francesi. Ho passato due giorni con altri 120 uomini, per lo più anziani. Discorsi interessanti, per carità. Ma l’assenza di donne rendeva tutto così stridente. Lì ho capito che anche per la Chiesa è arrivato il momento di aprirsi e valorizzare le donne, fino a pensare al sacerdozio femminile».

Va bene che l’hanno appena fatto Papa, ma non si starà allargando?

«Era per dire. La politica è costruita con regole che avvantaggiano la prepotenza, attributo normalmente maschile. Però, almeno in questo, il lockdown ci è venuto in aiuto. Le assemblee in presenza erano il trionfo della sopraffazione: i leader parlavano all’ora di punta, mentre giovani e donne erano relegati a notte fonda. Invece nell’era Zoom tutti parlano per cinque minuti, senza discriminazioni di scaletta, e senza applausi retorici per sottolineare i passaggi dei capi. Nell’ultima assemblea “a distanza” del Pd ho ascoltato ben 57 interventi di coloro che di solito parlavano davanti alla platea deserta. Non sarebbe mai accaduto fino all’anno scorso».

Come ci siamo comportati durante la pandemia?

«Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno perso sui comportamenti, dove ha prevalso il loro individualismo, ma hanno vinto sui vaccini grazie alla capacità produttiva, dove invece a fallire è stata l’Europa».

Lei libererebbe i brevetti?

«Serve una moratoria per poter vaccinare anche i Paesi più poveri, altrimenti non se ne esce. Le aziende farmaceutiche hanno diritto a fare profitti, ma mi pare che quest’anno abbiano già guadagnato abbastanza».

La politica può davvero disciplinare l’avidità?

«Dobbiamo individuare un coefficiente che colleghi lo stipendio del capo-azienda a quello dei dipendenti. Oggi il divario è diventato assurdo e immorale».

Quando il mitico Valletta, capo della Fiat nel dopoguerra, innalzò il suo stipendio a dodici volte quello di un operaio, molti sindacalisti gridarono allo scandalo. Adesso che il rapporto è uno a duemila, uno a dodici sarebbe considerato quasi un esproprio proletario. Ma si può stabilire per legge?

«Di sicuro si può fare a livello reputazionale. Come già avviene per la sostenibilità ambientale, arriverà il giorno in cui un’azienda che non applica la clausola Valletta verrà penalizzata sul mercato. Ci vuole più democrazia economica: è il momento di far partecipare i lavoratori ai consigli di amministrazione e di dare azioni delle società ai dipendenti. Bisogna anche eliminare i paradisi fiscali all’interno dell’Area Euro, come è il caso dell’Olanda».

Ci sta dicendo che la sinistra tornerà a occuparsi dei lavoratori e non solo dei diritti civili?

«Per me esiste un solo diritto, il diritto al futuro, che riunifica i diritti sociali e quelli civili: sostenibilità, lavoro e identità. Sono contento di avere convinto Draghi a inserire nel piano di rilancio una clausola di premialità a favore delle aziende che assumono giovani e donne. Erano i giorni in cui Salvini smaniava per spostare il coprifuoco alle 23, questione che in ogni caso si risolverà nel giro di poche settimane. La battaglia di Salvini ha fatto il titolo dei tg e il pieno di “like” per un giorno. La nostra clausola trasformerà l’Italia nei prossimi dieci anni».

Come va con Draghi?

«Lo vedo molto determinato, stimolato intellettualmente e affascinato da questo nuovo impegno. Ci trova gusto. Negli incontri con lui ho sempre da imparare».

In quelli con i Cinquestelle si diverte meno

«Cinque anni fa hanno vinto a Torino e a Roma contro di noi, schierando due donne giovani: a Parigi era questa l’unica notizia di politica italiana di cui si parlava. Oggi in quelle città è impossibile allearsi con chi hai combattuto, e ti ha combattuto, duramente per tanto tempo».

Che cosa ne pensa di Conte?

«Con lui si lavora bene. E poi, siamo realisti: noi per ora abbiamo il 18 per cento, non il 50, e poiché non intendo certo allearmi con Meloni e Salvini…».

Non restano che i grillini.

«Però sia chiaro che non lasceremo ai Cinquestelle la bandiera della sostenibilità giusta. Io non nasco ambientalista, ma a Parigi sono entrato in sintonia con la generazione di Greta che vuole evitare la fine del mondo. Però ho anche visto in azione i gilet gialli».

Il Pd di prima li considerava fascisti.

«Erano persone che vivevano in provincia e non arrivavano a fine mese, alle quali era stata chiesta una sovrattassa sul carburante per evitare la fine del mondo. Ma a Parigi si può vivere senza macchina, altrove no. Quindi, o crei un meccanismo di transizione che coniughi la fine del mese e la fine del mondo, oppure li perdi e li consegni alla destra».

Vorrebbe anche il voto dei gilet gialli?

«Sì. La partita si gioca anzitutto sulle donne e sui giovani che non votano più a sinistra. Nel 2018 il Pd ha perso perché c’erano un leader e 945 candidati, mentre per vincere servono un leader e centomila militanti che facciano campagna elettorale sui social, nelle case, negli spogliatoi del calcetto. Se a chiedere il voto è una persona che non è direttamente il candidato, il Pd diventa più credibile e meno antipatico».

Vi accusano di esservi trasformati in un partito radicale di massa che fa il pieno di consensi solo nei centri storici.

«Basta partito della Ztl, io voglio il partito di Monteverdi Marittimo, il comune della provincia di Pisa più lontano dal capoluogo, dove a vent’anni feci il mio primo comizio da candidato. Persuaso di parlare chissà quanto, fui accolto dal segretario locale così: “A te la parola, ma ricordati che noi alle otto si va a cena”. Ecco, l’Italia è fatta di posti come quello: piccoli comuni e comunità montane da rivitalizzare».

Mentre le Regioni, specie dopo la riforma Bassanini, hanno fatto più guai che altro.

«Finita la pandemia, dovremo rivedere il rapporto Stato-Regioni».

Si sente un secchione?

«Io sono un figlio degli Anni 80, ottimismo e leggerezza, e ne vado orgoglioso; purché sia leggerezza calviniana e non pressapochismo e superficialità».

Però ha gli occhiali. Ci ha fatto caso che in politica non li porta quasi più nessuno?

«Li metto da quando avevo cinque anni. Inforcarli è il primo gesto della giornata, per me vuol dire essere sveglio. Ci sono talmente affezionato che, quando ho fatto l’operazione per abbattere la miopia, ho chiesto che mi lasciassero una diottria in meno per poter continuare a usarli».

Lei è un grande appassionato di statistiche. Qual è quella che la preoccupa di più?

«Quando leggo che siamo all’ultimo posto in Europa nella comprensione di un testo scritto e nella percentuale di laureati. La formazione è la sfida decisiva: anche per gli adulti».

Nel libro scrive che non c’è mai stata ressa tra i politici per andare a occupare il ministero dell’Istruzione. Lei ci farebbe un pensierino?

«Certo, mi piacerebbe. Sono appena entrato nel terzo tempo della mia vita, ma per il quarto non escludo nulla…».

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